Era il 2010 e girava voce di un abbandono da parte dell’allora presidente (in carica ufficialmente fino al 2012) di un addio anticipato. Addio da lui stesso smentite e che volevano un nuovo numero uno arrivato dalla Germania. Un periodo particolarmente convulso visto che lo stesso amministratore delegato Ghizzoni, attualmente ancora in carica, era sospettato anche lui di dare forfait.
Anche perchè proprio in quel periodo Unicredit si era impegnata a sbarcare sul mercato dell’Est europa, convinta delle potenzialità di crescita di un bacino parzialmente fuori dall’euro e che avrebbe potuto sfruttare gli influssi positivi della moneta unica senza tuttavia doverne scontare i difetti. Per questo motivo i vertici, allora, furono costretti non solo a smentire le proprie dimissioni, ma a sottolineare l’impegno nell’implementare i progetti e la presenza di Unicredit nell’area dell’Europa dell’Est.
Ma cosa ha spinto a questa situazione per alcuni versi paradossale? Purtroppo, sempre stando alle dichiarazioni rilasciate dai vertici Unicredit, furono le interferenze politiche. Una tesi avallata anche da alcuni giornalisti del Wall Street Journal che accusava il sistema bancario italiano in generale che doveva pagare il difetto di avere una reputazione al di sotto delle sue potenzialità. Una reputazione, quindi, sempre bisognosa di rassicurazioni soprattutto nei confronti degli investitori. Un problema che si presenta periodicamente e che, volendo allargare l’obiettivo a livello europeo, ha portato poi alla paura circa un sistema che, nel tempo, ha evidenziato le sue crepe anche a livello macro con impatti diretti sull’intero continente.
Un problema non indifferente visto che l’Europa, a differenza degli Usa, vede proprio nel sistema bancario lo snodo principale per il finanziamento delle piccole e medie imprese che dagli istituti e non certo dalle Borse, riescono ad ottenere linfa vitale e credito per investimenti e crescita. Da qui la deriva verso il blocco dei prestiti con inevitabili ripercussioni su quella che da molti è definita la spina dorsale dell’economia del Vecchio Continente e che, nel contempo è anche quella più stressata dalla pressione fiscale.